Tra passatismo, incomunicabilità ed estremismo, la Corte suprema statunitense sacralizza il diritto a portare armi – P. Passaglia
Nell’ambito di un term che ha proposto diverse grandi «sorprese» (l’uso della vox media vuol celare una certa inquietudine), la decisione del caso New York State Rifle & Pistol Association, Inc. v. Bruen, n. 20-843, non è certo la punta più avanzata dell’opera di riscrittura dei cardini della convivenza civile cui sembrano essersi votati i sei giudici della Corte suprema statunitense di estrazione (ultra-)conservatrice. Per dirla in maniera un po’ meno criptica, la sentenza del 23 giugno, in termini assoluti, fa emergere elementi preoccupanti; ma, se confrontata con altre decisioni quasi contestuali (e, ovviamente, in primis con la sentenza Dobbs v. Jackson Women’s Health Organization, n. 19-1392, sull’aborto, depositata il 24), è una di quelle che appare più «digeribile», quanto meno se ci si pone dal punto di vista dello stretto diritto e ci si concentra sull’holding. Se, invece, si prendono in considerazione anche profili di ordine sociologico o criminologico, allora il giudizio cambia radicalmente. In un frangente così particolare come quello che stiamo vivendo, tuttavia, sembra addirittura che il giurista possa prescindere dall’osservare il mondo che lo circonda, isolandosi e chiudendosi nella sua torre d’avorio in compagnia di qualche libro di storia, sempre che – come si vedrà – non si tratti di storia contemporanea.