Riformare il CSM: e se provassimo a istituzionalizzare le correnti? – A. Morrone
Il dibattito sulla riforma del Consiglio superiore della magistratura, oggi come nel passato, gira a vuoto. Si propongono soluzioni senza avere di mira lo sfondo. O, meglio, lo sfondo su cui si svolgono i discorsi non è affatto univoco. Anzi ciascuna proposta assume in premessa una certa e diversa idea del CSM. Il problema del CSM è proprio questo: nella discussione si assume che la costituzione abbia prefigurato una istituzione nitida nell’organizzazione e nello scopo quando, invero, il disegno costituzionale è sostanzialmente senza modello. L’esperienza ha dimostrato ampiamente come i contorni costituzionali di questa istituzione siano così ampi da consentire, legittimandola, qualsivoglia interpretazione giuridica. Ancora oggi non troviamo in letteratura opinioni concordi sui fondamentali: si discute del CSM come di un organo di autogoverno (formula equivoca che, nel riprendere il concetto qualificante un organo politico, travalica i confini della magistratura come potere funzionale alla garanzia della costituzione), come sede di rappresentanza (senza sapere esattamente di quale rappresentanza si tratti: rappresentanza politica, di interessi, di culture?), come amministrazione-direzione dell’organizzazione della giurisdizione ordinaria (così entrando in contraddizione con il ruolo e le funzioni del ministro della giustizia e con l’attività di governo).